lunedì 14 marzo 2011

Scuola Barendson

Il 24 gennaio di più di trent’anni fa, moriva Maurizio Barendson, giornalista napoletano icona di un’informazione fuori dai pregressi schemi sui fatti dello sport, voluta (o subita) dalla Rai negli anni Settanta. Per Gianni Minà, Barendson non era un giornalista sportivo, ma un giornalista a tutto tondo prestato allo sport. Per anni lo sport è stato considerato una branca secondaria dell’informazione sia per la carta stampata che per la  Rai. I giornalisti erano mandati allo sport per farsi le ossa prima di incarichi ritenuti più “importanti”. La Rai però, tra il ’68 e la fine degli anni ‘70 dette voce e volto a professionisti del calibro di Sergio Zavoli, divenuto popolare per il “Processo alla tappa” del Giro d’Italia, Antonio Ghirelli, Gianni Minà, Beppe Viola, Paolo Valenti e, appunto, Maurizio Barendson. I fatti dello sport, che sono fatti della vita e a volte della storia, grazie alle qualità di questi giornalisti “a tutto tondo”, provenienti da esperienze diverse, dal vaticanista Paolo Valenti al poliedrico Beppe Viola, uomo di cabaret e scrittore, vengono posti all’attenzione dei telespettatori in un modo diverso, meno enfatico e sdrammatizzato, in una parola sola “umanizzato”.  Barendson allargò il mondo dell’informazione sportiva ai commenti di personaggi dello spettacolo e della cultura nel suo programma “Sprint”, ma seppe adattare alle esigenze del target dei telespettatori il programma “90° minuto”, da lui ideato e ancor oggi presente nei palinsesti Rai, con un’informazione veloce, scarna, di tipo “inglese”.  Barendson però, come del resto Zavoli e Ghirelli, amava soprattutto le vicende umane dello sport, che non era più soltanto un evento agonistico e basta. In quegli stessi anni cambiava registro anche la carta stampata grazie, soprattutto, a Gianni Brera, puntando su tutto ciò che ruotava intorno ai fatti dello sport.  A 30 anni di distanza, con il calcio divenuto sinonimo di business e con l’avvento delle reti televisive private e satellitari, il messaggio di Barendson e soci sembra essere stato recepito da tutti gli operatori dell’informazione ma, nella realtà, la maniera di entrare “dentro” un semplice fatto agonistico, con correttezza e lealtà, evitando polemiche, non l’hanno raccolta che in pochi.

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